Era il sabato di Pasqua, quando l’aria ancora serba il fremito dell’inverno ma già prelude al tepore della rinascita, quando decisi, sempre affiancato da alcuni miei fidati scherani, di fare visita ad un nome che da qualche tempo rimbombava tra le valli e i borghi: quello del Re della Pizza, un pizzaiolo famigerato, la cui arte farinacea prometteva leggerezza e letizia a costi popolari. Da giorni la combriccola progettava di desinare in codesto luogo e finalmente era arrivato il momento.
Giunti sul posto, non fummo accolti da squilli di tromba né da grandi reverenze. Anzi, nessun cortigiano ci scortò al desco: dovemmo noi stessi cercar riparo in un tendone che pareva più adatto a festini di campagna che a convivi regali, situato in un vicolo interno, a pochi metri dalla porta principale del locale. Una volta accomodati, notai un coltello lievemente scheggiato, come una spada sbeccata da mille battaglie, che mi attendeva sulla tavola, lasciando presagire un’esperienza priva di lustro. Le posate dei miei compari sembravano tuttavia intatte, quindi decisi di soprassedere; non si dica mai che il Conte viene scoraggiato da un graffio su una lama, lui che ha visto ben di peggio nei pasti durante la sua prigionia! Inoltre quell' ambiente spartano e gremito di conviviali, si prestava stranamente bene a quello che mi aspettavo.
Ma ecco che giunse (dopo una attesa leggermente lunga ma non eccessiva) calda e fragrante come un’offerta al dio del forno, la pizza. Non un capolavoro rinascimentale, non un'estasi estetica da tramandare ai posteri, bensì un’opera sincera, leggera come una piuma e saporita come i racconti di un vecchio marinaio. Pareva più che sufficiente e le patatine che l’adornavano, dorate e fragranti, compivano il prodigio d’essere fritte alla perfezione.
Il servizio, seppur forse disadorno nei gesti, era nutrito da gentilezza genuina. La cena trascorse piacevolmente tra chiacchere ed ampi bocconi. Finimmo tutti senza difficoltà alcuna, l'impasto era leggero e digeribile. Il dolce, ahimè, invece non all'altezza: il cioccolato sulla panna cotta era evidentemente artificiale e imperfetto, e va giudicato senza clemenza. Mentre il caffè, scuro, corposo e avvolgente mi ricordò una mattinata sul mare partenopeo, gustoso, leggero e zuccherato.
Ma è alla fine, come in ogni buon racconto cavalleresco, che giunge la rivelazione: il prezzo, così modesto da parer frutto d’un incantesimo, ed il Re in persona, che con bonomia e carisma porge a noi ospiti un limoncello squisito. Il finale tramuta cosi un voto (che sarebbe stato comunque sufficiente) in una valutazione eccelsa!
Lì, amici miei, fra brindisi e risa, il Conte comprese che non sempre l’apparenza inganna: dietro la rustica facciata si cela il cuore generoso d’un sovrano del popolo e re d'ogni pizza.
Soddisfatto e con l’animo leggero, mi congedai dunque già meditando un ritorno, ché certe sorprese, come gli arcobaleni dopo la pioggia, non si dimenticano mai.
Edmond Dantes
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22 Aprile 2025
8,0