In sintesi, cucina 10 servizio 3.
recensione lunga, chi volesse leggere la mia opinione, può continuare. Cominciamo con le note positive, la cucina è stata davvero una piacevole sorpresa, materia prima ineccepibile, buoni abbinamenti, impiattamento divertente e adeguato.
davvero peccato che tutto il resto fosse effettivamente imbarazzante.
Ci troviamo ai piedi di un condominio di periferia e, all’entrata nel locale, si è accolti piacevolmente da un’atmosfera di bottega con cucina, e sarà sicuramente meraviglioso cenare circondati dal vino e dal sorriso di tutte queste mademoiselles.
Comunichiamo la nostra prenotazione, e l’addetta al ricevimento dopo aver spuntato il nostro nome nel libro degli eletti, tiene subito con veemenza a comunicare a gran voce agli astanti, a tutto il locale e al mondo intero che noi abbiamo un voucher, facendo tra le righe intendere che, a suo parere, avremmo sicuramente dovuto rinunciare a questo benefit aziendale (che poteva anche essere un omaggio personale di un caro amico) perché in quel posto -probabilmente frequentato solo da benestanti arricchiti per i quali il valore dei soldi é ovviamente un tema che non appartiene loro- il voucher non doveva proprio essere usato.
Consiglio: dare un’occhiata al vocabolario alla voce « discrezione ».
Segnati ormai dall’etichetta affibbiataci da una cassiera, veniamo quindi accompagnati nella sala del desinare, arredata nel solito stile un po’ svedese (con cui non si sbaglia mai) e fatti accomodare in curiose poltroncine a pozzetto comode senz’altro per un after dinner di piacevole conversazione ma assolutamente inadatte, dal punto di vista ergonomico, per permettere di assumere una posizione non dico comoda, ma per lo meno dignitosa, per mangiare. Non si sa infatti dove infilare i gomiti, il che magari in questo posto non può essere un problema, se la gente che lo frequenta, mangiando, i gomiti li punta in modo arrogante sul tavolo.
Tavolo di vetro specchiato, di un’altezza anch’essa scomoda per mangiare, ornato da micro tovagliette che purtroppo fanno sì che l’area rimanente dopo qualche minuto, si imbratti in modo spiacevole dei segni dei bicchieri e di qualche briciola. Arriva quindi un giovane maître, che -insieme al benvenuto- principia l’accoglienza sottolineando anch’egli che noi abbiamo un buono.
Anche tutta la sala, a questo punto, é resa edotta del fatto che noi siamo quelli del buono (degradati a buono, prima almeno eravamo quelli del voucher).
Il che fa pensare che, a noi pezzenti, venga riservato un menu particolare, tipo hamburger e patatine, ma fortunatamente non è così.
Inizia quindi, dopo un sofferto sospiro di commiserazione, l’illustrazione delle varie opzioni, con contestuale solerte consegna di un algido tablet sul quale trovare i piatti e le combinazioni.
Un po’ disorientati dal fiume di parole e per certi versi increduli della situazione, veniamo indottrinati su un sacco di cose ed informazioni che saranno state probabilmente interessanti, ma alle quali non siamo riusciti a prestare attenzione perché effettivamente un po’ impegnative.
Troppo, davvero troppo, per noi, « quelli del buono ».
Alla fine, per sfinimento, scegliamo il menu « sorpresa », consapevoli anche -in qualche modo- di fare un piacere allo chef, si sa come funziona in questi casi.
È il momento del vino: ecco tra noi una carinissima mademoiselle, la cui grazia fa perdonare tutto. Fa perdonare la pelosa ed artefatta accoglienza, fa perdonare la proposta iniziale di un calice di sciampagnino come aperitivo, con la precisa sottolineatura che il Dom Pérignon in questione e costa 55 euro al calice, ed è cosa non da tutti perché chiaramente quello è un posto da eletti (ricordiamo che noi siamo quelli del buono).
Si prosegue quindi, alla cieca, per decidere quale vino abbinare a questo menu a sorpresa, del quale chiaramente nulla si sa.
Con sincero stupore scopriamo che non esiste una carta dei vini. Eh, cari signori, « in questo posto funziona così » sentenzia la carinissima mademoiselle. Detto questo, ci invita a scegliere alcune etichette; si va subito in Francia, ça va sans dire, sciorinando anche brevi lezioni sulla geografia d’oltralpe, puntando principalmente sulle Côtes du Rhône, dove è noto, vengono anche i prodotti dei vini da supermercato da quattro euro a bottiglia.
Con fatica, incarichiamo uno di noi (che un po’ di vino ne sa, lavorando nel settore da decenni) a seguire mademoiselle nella « libreria », come viene definita, per scegliere una bottiglia. Intanto, comincia il turbinio che ci accompagnerà fino a fine serata, con continue persone svolazzanti attorno al tavolo togliendo stoviglie, ciotole col pane, cambiando tovaglioli acchiappati furtivamente con lunghe pinze da chirurgo, neanche fossimo dei malati di Ebola. Spicca una simpatica addetta all’acqua (sia liscia che frizzante) la quale, forse, è la più composta e autentica della compagnia. Arrivano quindi le proposte dello chef, che ripeto molto valide, intercalate sempre dalle didascaliche e un po’ annoiate descrizioni del maître, e mademoiselle carinissima alla fine recupera un po’, sciogliendosi nella proposta di un gin tonic molto ben fatto.
Scanzonata l’offerta a fine pasto di caramelle gommose, Marshmallows e Girelle di liquirizia come quelle della sagra, con il sapore delle quali, un po’ inebetiti, ci avviamo alla cassa per saldare il conto. Conto che, chiaramente, è adeguato (adeguato e stellato nel senso di astronomico), ma a mio modestissimo parere non vale l’esperienza.
Benedetto fu quindi il buono. Vorrei solamente suggerire a questi signori, se ne avessero l’occasione, di fare un giro non distante, magari da Cipriani a Venezia o alle Calandre, per ispirarsi su come possa essere trattato con semplicità autentica un cliente, senza prendersi così sul serio.
saguntum
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02 Giugno 2024
6,0